don quijote de la Mancha
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La congiura dei Titani

Atto I

Scena I

Seduto ad un tavolo imbandito, Prometeo, le mani giunte sotto il mento.

Entrano Atlante, Epimeteo, Menezio. Prometeo si alza per accoglierli.

Prometeo

Fratelli Titani, figli di Giapeto e Climene, possenti fra i possenti, giusti fra i giusti; benvenuti nella mia dimora.

Abbraccia ognuno dei presenti.

Prometeo

Vi prego, sedete

Menezio (sedendo)

Salute a te, fratello Prometeo.

Giungemmo, dopo lungo viaggio, ignari della cagione del tuo invito, e nondimeno consapevoli della sua importanza, giacché da tempo immemore non eravamo riuniti tutti in un medesimo luogo; e per la rapidità richiesta, e la richiesta segretezza di questo viaggio, io, e credo ognuno dei nostri fratelli, in cuor mio, molto ho riflettuto sulle tue intenzioni. Dunque non esitare, illumina i nostri dubbi.

Prometeo (versando il vino)

Ebbene, comprendo la vostra curiosità: ma prima brindiamo al nostro incontro, e che il vino che condividiamo ci favorisca nel lungo parlare che ci attende!

E, affinché quello non ci annebbi i pensieri, e voi possiate riprendervi un poco dalle fatiche del viaggio, prendete queste focacce e queste olive.

(bevono)

Ognuno di voi, se l'animo vostro non ha mutato i pensieri, se la generosità che ci unì quando fanciulli discorrevamo del cielo e del mondo non ha smesso di sorreggere i vostri pensieri, e le intenzioni; se la vista di una sproporzione sfacciata fra quanto è per gli uni e quanto per gli altri non ha smesso di far ribollire il vostro sangue; se ancora vi ripugna la bilancia a due piatti inclinata al punto che uno sprofonda a terra, e l'altro punta al cielo stabilmente; ognuno di voi non può che soffrire ancora nel vedere gli uomini, fragili creature che sorsero dalle nostre stesse mani, sopravvivere a fatica nelle fredde notti d'inverno, incapaci di difendersi dalle belve e dai loro affilati artigli, nutrirsi di bacche strappate faticosamente alla selva, aggirarsi selvatici come fiere, benché privi delle forza del leone, della rapidità della gazzella, privi delle ali del falco, o dell'agilità della capra o dello stambecco; dell'audacia della volpe, o di qualunque altro animale.

Mentre gli dei gozzovigliano sull'Olimpo, nutrendosi di nettare ed ambrosia, sollazzandosi nelle pigre giornate che li avvolgono come manti dorati, ordendo piccoli intrighi, meschini di intrallazzi amorosi.

Ma se il giuramento di reciproca fedeltà che pronunciammo sul sangue del toro che tu, Atlante, sgozzasti, un giorno lontano, ha ancora valore, come io so che ne ha, in nome di quel sangue versato oggi vi dico che questa immonda condizione occorre ribaltare, e che le creature che tanto amammo, e che ancora amiamo, perché nostre figlie, occorre guarire dalla loro miseria, giacché furono create per vivere felici, usare arti e talenti per costruire bellezza, e poesia.

E perché questo accada noi, e solo noi, possiamo fornire loro il segreto dell'agricoltura, affinché siano loro garantiti i cibi che gli occorrono a piacimento, senza dover sottostare, frugali, a quanto la terra spontaneamente loro dà.

E il segreto dell'allevamento, perché possano nutrirsi di carne senza appostarsi in lunghe e infruttuose battute di caccia, lanciando pietre aguzze alla volta del cervo, o del daino; della tessitura, affinché non debbano coprirsi di pelli battute ma possano indossare caldi abiti in lana.

Il segreto del fuoco infine, che Efesto coltiva nel cratere di Vulcano, affinché lo utilizzino per scaldarsi, cuocere i cibi, ottenere un'esistenza degna della loro umanità. E da quella scintilla, dalle fiamme del fuoco che essi alimenteranno, scopriranno altri segreti, svilupperanno altre abilità, costruiranno meccanismi che li serviranno; e l'arte di costruire porterà loro dimore confortevoli, dove accudire i propri figli ed educarli al giusto e al buono; e edificheranno luoghi dove convivere in pace, e in prosperità.

Per questo io vi chiedo, o fratelli Titani, volete unirvi a me, perché tutto questo avvenga?


Atlante

Prometeo, fratello diletto, tu che vedi oltre e di questa vista nutri il tuo spirito; non ignori certo quanto ciascuno di noi soffra ancora nel vedere le umane nostre creature languire in tale disperata condizione. Né l'animo mio è cambiato, in questo lungo tempo di separazione.

Ma come possiamo noi, oggi, modificare un sistema che è tale da secoli, perpetuatosi nella sua ingiustizia, ma retto da colonne invalicabili?

Non sai forse che il segreto del fuoco è custodito gelosamente dal consesso degli Dei dell'Olimpo tutti, e che le loro rivalità, continue e violente, si arrestano quando vedono in pericolo il loro privilegio, ed essi combattono compatti chiunque osi avvicinarsi al segreto del loro potere, che è nel fuoco che alimenta le folgori di Zeus, la fucina di Efesto, i dardi fiammeggianti di Apollo e Artemide, sua sorella; che Ermete mai non dirà a mortale alcuno della pastorizia, né Atena della agricoltura,e della tessitura; e tutto ciò perché la condizione servile dell'umanità è essa stessa l'altro lato della moneta della supremazia degli dei dell'Olimpo.


Prometeo

Ma che? Vi chiedo se ritenete ingiusto il cosmo, così com'è, e mi rispondi, fratello, che esso è così da sempre. Vi chiedo se volete smuovere con me le colonne che tale cosmo sostengono, e mi rispondi, fratello, che gli dei sono gelosi dei loro segreti. Dunque la rassegnazione è quanto ci rimane in mano, e nel cuore, dopo tanti discorsi sulla giustizia e l'ingiustizia?

Eppure conosci le malefatte di Zeus, lo stupratore inarrestabile, e le innumerevoli vittime, mortali e non, che subirono i suoi attacchi: Stige, la dolce fanciulla sorella di nostra madre, che fu presa con la forza e gli diede in figlia Persefone ; e questa, nostra cugina, non già figlia di Demetra, come alcuni dicono, che fu rapita da Ade e costretta a vivere negli Inferi col suo padrone; e tua figlia Maia, (Atlante sussulta) che egli violò quand'era poco più che bambina, e generò Ermete, e quasi morì di parto. Occorre continuare?

Atlante abbassa lo sguardo


Menezio

No! (picchia il pugno sul tavolo) Non per questo fummo generati immortali, ma per batterci contro l'ingiustizia.

Le notti trascorro a macerare per quanto nostro fratello ora ricorda a tutti noi, e quello che oggi lui afferma io lo sento nelle mie viscere rimbombare del cupo suono della dolorosa verità.

E immaginavo, fratello diletto, che il tuo intento fosse questo, di cambiare tale stato di cose.

Né resterò a guardare ancora l'oltraggio che alle creature della terra viene mosso dall'Olimpo. Tienimi in conto, fratello Prometeo, Titano dalla lunga vista, ché ti seguirò in questo compito. E se tu, Atlante...


Atlante

Ma fratelli, non travisate le mie parole. Non ho affermato di non volerti aiutare, Prometeo.

Voglio sapere però le modalità che intendi attuare per modificare il cosmo così com'è, se abbattendolo d'un colpo per poi ricostruirlo, o modificarlo per passi progressivi.

Intendi rubare tutti i segreti agli dei, svilendoli delle loro prerogative? Intendi sostituire a loro altri, o te stesso, o forse alcuno?


Prometeo

Ora vi narrerò nel dettaglio le mie intenzioni, fratelli, ma intendo ascoltare l'opinione di Epimeteo, che non si è pronunciato ancora, e medita lugubre, le mani poggiate alle ginocchia, su quanto abbiamo discusso attorno a questo tavolo.


Epimeteo

Prometeo, diletto fratello.

Il suono della tua voce mi giunge all'orecchio come melodia di flauto, e mi riporta alla magia dell'infanzia.

Ricordi quando cavalcammo sotto la luna puledri selvaggi e tu ci incitavi, fratello, a giungere più oltre, a superare i monti di Beozia entro l'alba?

Quella notte lontana, noi poco più che fanciulli, ebbri di libertà e desiderio, respiravamo della brezza montana correndo sfrenati.

E quando Atlante s'attardava, per mirare le bellezze di quei monti, aspri e delicati al contempo, tu lo chiamavi, e ti rivolgevi a tutti noi con quella stessa voce suadente, ma forte, spronandoci, a più alte mete, a più bei panorami, cercando di più; e quando io, e Menezio, invaghiti della bellezza di un possente cervo, rallentammo per catturarlo tornasti indietro, ché fra tutti eri il più abile cavaliere, e ci convincesti ad affrettare il passo, finché non giungemmo, all'alba, sul golfo verdeazzurro, col sole che si levava alle nostre spalle dai monti e dorava la superficie delle acque spumose, e trionfante ci dicesti: per questo, fratelli, per questo vi ho spinti.

E tutti noi ci chiedemmo in che modo potevi sapere quanto ci aspettava oltre il crinale del monte, ché per te tali terre erano ignote tanto quanto lo erano per noi.

Con animo certo ti seguo oggi, come allora, ben sapendo che la meta dove ci condurrai, benché lontana e inarrivabile all'apparenza, per quanto irta di difficoltà sia la strada per giungervi, sarà meravigliosa come quell'alba presso le trasparenti acque tremanti .


Prometeo

Così il cosmo è regolato, è certo. L'acqua scende, e cerca la terra; né è possibile oggi immaginare che tale direzione sia invertibile. Il fuoco sale, e brama il cielo.

Ma questo fuoco, ch'è luce rovente, e scalda i cuori e illumina le tenebre del cuore, e della ragione, questo spirito errabondo dalle mille lingue mobili, esso oggi è, e non può più non essere, foss'anche vero che gli Olimpici l'hanno inventato, benché io ritenga che esso fosse ben prima di Zeus, e di quella genìa di figli e nipoti di Crono.

Foss'anche vero che il fuoco nacque per loro merito, esso oggi esisterebbe se essi non fossero, e potrebbe vivere persino (pausa) persino senza la folgore di Zeus!


Atlante

Il mio cuore ti crede, fratello, e la mia mente può concepire quanto affermi, benché esso paia incredibile alle orecchie che ti ascoltano smarrite.

Dunque rovesciare il cosmo, capovolgere l'universo; quanto è sopra scenda, e quanto è sotto salga; e tutto ciò è possibile.

Sta bene; ma pur accettando l'incredibile, persino condividendo la necessità di questo cambiamento totale, si pongono oggi a noi almeno due accidenti, che dovremo regolare.

Il primo, ovverosia che quanti stanno sopra, non cederanno mai il loro privilegio. O erro, o Prometeo?


Prometeo

Essi di loro volontà non cederanno quanto hanno conquistato abbattendo i tiranni che li hanno preceduti, e non lo faranno nel pieno convincimento che tale incombenza spetti loro per il bene di tutti. A noi il compito di abbattere il loro potere. E se oggi questo potere è tale da schiacciarci, se il conflitto fosse manifesto, io dico che per raggiungere il nostro scopo non potremo combattere apertamente, ma solo congiurando, occultando le nostre manovre fino a ché le nostre forze non ci permetteranno di confrontarci direttamente.

Un patto di segretezza dovrà legarci, fratelli, più forte del vincolo di sangue che già ci unisce, per spezzare le catene che legano questo mondo al suo fato, liberandolo dal giogo degli Olimpici.


Atlante

E sia. Sia pure che ci competa il diritto di abbatterli; abbiamo anche quello di combattere una guerra in nome e per conto degli uomini, che ignorano financo le nostre intenzioni?


Prometeo tace per qualche istante.


Prometeo

Atlante, fratello.

Il quesito che mi poni è legittimo, e non credere che la mia risposta sia affrettata o non ponderata, giacché per lunghe notti ho riflettuto sulla questione, ché essa non è affatto di facile soluzione.

Che si erri per superbia, trasmettendo su altri le nostre aspirazioni? Che ci si arroghi un diritto che non è nostro, per risolvere un problema che non è visto come tale da quelli che subiscono la mala sorte di un'esistenza della quale essi stessi ignorano la gravità delle condizioni?

Ma tale premura, di lasciare ch'essi possano proseguire nel loro triste destino, è forse una soluzione migliore, o non è piuttosto un modo per eludere un problema che in fondo non ci riguarda direttamente?

E soprattutto, fratelli Titani; gli uomini coperti da pelli di capra passano le loro giornate non ad osservare le stelle che pulsano nella notte, ma a rabbrividire dal ferddo. Non alzano lo sguardo al cielo, né osservano i bagliori delle schermaglie sulla vetta dell'olimpo, ma volgono il capo verso il basso della terra, cercando indarno riparo fra grotte e pertugi agli attacchi delle fiere, o della fame.

Non possono ambire a qualcosa di meglio, poiché è destino di chiunque poter ambire a qualcosa che si è almeno una volta osservato, seppure di lontano, invidiato persino, ma perché percepito, anche vagamente.

Essi ignorano che esista una condizione migliore della loro, così come ignorano la loro stessa condizione, tanto quanto ignorerebbe l'esistenza dei colori chi vivesse in un luogo ove ogni cosa è bianca, compreso il mare, compresa la chioma fronzuta degli alberi, in un incubo di ghiacci e neve senza sfumatura. Potrebbe un tale uomo, in quella situazione, reclamare a gran voce un manto rosso, se ignora l'esistenza stessa di quel colore?